sabato 10 dicembre 2011

Una vocazione per la città: il manifatturiero eco-sostenibile

Penso che riuscire a costruire una visione delineando il futuro a cui vogliamo tendere sia importante. Ma ci vogliono soluzioni calate nel reale. I dialoghi sui massimi sistemi vanno bene fino ad un certo punto. La provincia di qualche settimana fa diceva che ci sono 14mila persone in cerca di lavoro iscritte ai centri per l'impiego. Il candidato sindaco non può spingere per la piena occupazione, non ne ha il potere, ma può creare, insieme al gruppo le condizioni per favorire uno sviluppo nuovo e sostenibile per la città. Ricordo che a Roma l'ultima giunta Veltroni aveva fatto una cosa molto interessante, ovvero c'era stata la riqualifica di uno spazio dove era andata a insediarsi l'associazione "Occhio del ri-ciclone", con artigiani collegati che realizzano prodotti attraverso il riuso di oggetti vari, semilavorati di scarto o parti dismesse. Dato che si è parlato spesso di VERA raccolta differenziata, pensiamo al fatto che la ricicleria potrebbe destinare parte di queste materie prime per una nuova produzione, parte alla vendita, parte alla combustione. Quando si parla di riconversione delle aree dismesse io (ma anche il mio omonimo Guido Viale) penso a qualcosa del genere. Certo, non si fa dall'oggi al domani, ma il problema rifiuti, la crisi del manifatturiero, e la mancanza di lavoro, possono avere soluzioni comuni. Pensiamo alla colla vinila. E' nata come scarto di produzione eppure oggi è presente il tutte le case.

Dunque il manifatturiero eco-sostenibile può essere un segmento del mercato che segue non il pensiero mainstream, ma va a toccare un target che fa dell'etica e della consapevolezza valori presenti al momento dell'acquisto. Qua dunque non parliamo di consumo, ma di fruizione. Se il bene poi dismesso può avere nuova vita, allora il ciclo di vita del prodotto stesso diventa meno impattante e il costo della materia prima, che è uno scarto, si riduce notevolmente.
La materia prima nasce dalla materia ultima. E il ciclo si chiude.
Come dare una vocazione alla nostra città? Questo può essere un modo, ma può darsi che cercando un ago in un pagliaio, si trovi invece la figlia del contadino.

giovedì 13 ottobre 2011

Ombre di ottobre

Pioggia ch'ammanta

con un tocco felino

pur tutto il creato


fitto il fogliameModifica pagine

che cade col buio

di una stagione


come catini le gocce

nate'n nuvole basse

d'antrace'l loro color.


Ed ecco


narcisi sfioriti

tralci ormai caduti

funghi afflosciati


si bagna e si crepa

corteccia spaccata

muschio che vive


Sparito quel rosso

nel sole d'autunno,

giorno di san Martino.


Falangi di foglie

spazzan ora lo zerbo

vero vento vorace


Non più vive l'incanto

sì, muore l'armento.

verde non ora. cemento.

giovedì 15 settembre 2011

iIGiovani e il Welfare italiano

Siamo ormai sul bordo della terra piatta che e scivoliamo nel vuoto mentre ogni giorno che passa con questo governo sgocciolano le opportunità di cambiamento. Il mondo del lavoro negli ultimi dieci anni ha subito la dura falciatura della riforma che ha fatto del precariato la naturale forma di sopravvivenza per chi cercava un’occupazione. Il profumo del peggioramento non si era capito molto bene, dato che i sindacati per primi non si erano accorti della gravità del problema. Minando alle basi la certezza del futuro, non si può che avvilire ogni speranza e quindi impantanarsi nella stagnazione non è che una naturale conseguenza. Senza prospettive, non vi è crescita.

Quando un paese non ha prospettive di espansione verso l’esterno, l’opportunità migliore che le si pone davanti per crescere, è investire su se stessa, al suo interno. Ovviamente questo è un discorso molto complesso, poiché ricordiamo che nel nostro vocabolario è stato introdotta da tempo la parola flessibilità, ma se uno è flessibile, deve sapere perché, a cosa gli giova. Se questo ha senso solo per il datore di lavoro, allora il lavoratore non solo non avrà vantaggi, ma svolgerà il suo compito in malo modo, o di certo in modo meno motivato di quanto non avrebbe fatto invece in una situazione più sicura. Infatti prima di parlare di flexsecurity, forse sarebbe necessario capir il significato delle parole e anteporre ciò che ora serve, ovvero la sicurezza, parlando così di secure –flexity, come sentì dire un anno e mezzo fa su radio popolare il prof. Fumagalli. L’esigenza di una prospettiva scandinava, di un orizzonte meno labile su cui appoggiare le fondamenta della nuova crescita non può che partire da una presa di posizione nei confronti dei giovani. Per vincere la battaglia dei diritti, bisogna di sicuro avere delle armi da usare per difendersi, una su tutte il contratto unico, che sempre più spesso non solo Tito Boeri annuncia, ma anche personalità del centrodestra militanti nel terzo polo.

Ma oltre alle armi è anche utile avere un castello, una fortezza in cui rifugiarsi e forgiare l’io collettivo che anni di mancata educazione civica nelle scuole medie e superiori hanno affievolito; questa fortezza è la cultura che nasce non dallo scontro, ma dalla costruzione. Quando si parla di alchimie politiche si dimentica che l’alchimia è scomposizione e ricomposizione, ma con una finalità positiva e creatrice. La politica dello scontro, anche e soprattutto nel centrosinistra e nel PD, è spesso agli onori della cronaca: lo scontro di posizioni tra Ichino e Fassina non serve a nulla se non si pensa in termini di opportunità cosa è meglio per chi sarà al nostro posto fra venti anni. E’ utile dunque capire le nostre radici, da dove viene la democrazia, ma porre lo sguardo al di là del ponte, dove finisce l’arcobaleno delle teorie e inizia la drammaticità del presente. Perché come Giovani Democratici fare un incontro proprio sul tema del futuro del welfare a Como? Pur essendo geograficamente di confine, fatti fondamentali della storia italiana, risorgimentale e partigiana, si svolgono nel territorio lariano. Il lago di Como è come un fiordo scandinavo che si immerge in un’atmosfera mediterranea, uno scenario unico, che vede sulle sue sponde il finire della stagione del fascismo.

Proporre qua, nel “Mugello del centrodestra” una proposta alternativa sul tema che tocca maggiormente i giovani, non solo è una provocazione all’insegna del vento del cambiamento, ma è soprattutto un chiaro segnale che l’alternativa culturale è possibile. Sarà forse giunto il momento dell’autunno dell’occidente, quello cresciuto nelle contraddizioni, tra carbone e petrolio, ma non possiamo farci trovare impreparati quando arriverà la prossima primavera.

La crescita è nella sicurezza, il futuro è nel rinnovamento dello stato sociale.



l capitale

Il migliore e più semplice simbolo del capitale è un vomere ben fatto.

Ora, se tale vomere non facesse altro che generare altri vomeri, come una proliferazione di polipi, per quanto il grande grappolo di vomeri-polipi scintilli al sole, avrebbe perso la propria funzione di capitale.

Esso infatti diviene vero capitale solo attraverso un altro genere di splendore, quando è visto 'splendescere sulco', divenire splendente nel solco; piuttosto che con l'accrescimento della sua sostanza con la sua diminuzione, per il nobile sforzo dell'attrito. Perciò la vera domanda che dovrebbe essere familiare ad ogni capitalista, come ad ogni nazione, non è "quanti aratri hai?", ma "dove sono i tuoi solchi?", non "quanto rapidamente quel capitale si riproduce?", ma "cosa fa durante la sua riproduzione?" Che sostanza fornisce, che sia buona per la vita? Che opera costruisce, per proteggere la vita? Se non fa nulla di ciò il suo riprodursi è inutile – e se fa peggio che nulla (perché il capitale, così come può sostenerla, può anche distruggere la vita), la sua riproduzione è peggio che inutile; è un prestito con ipoteca di Tisifone, e non è in alcun modo un vantaggio.


A quest'ultimo, quattro saggi sul socialismo cristiano, John Ruskin,


Credo che in questo scritto, uno dei miei preferiti, ma ampiamente sottovalutato, ci sia la chiave della crisi della nostra contemporaneità. Occorre dunque un vomere per tracciare un solco che ci indichi una nuova via che dovremo seguire.

domenica 11 settembre 2011

Il presente che fagocitò se stesso in quell'Aprile

Avevo un dubbio, un dubbio che era una sensazione.

Poi all'improvviso un'idea seguita al fatto di aver pensato

ad una canzone di Jovanotti, quello più disimpegnato.

E allora finisce che mi guardo Aprile di Nanni Moretti.

Finisce il film e la sensazione diventa una certezza.

Gli anni passati dal '99 in poi per questa povera Italia sono

anni passati in vano. Tutto è fermo ad allora.

Ancora le stesse facce, gli stessi problemi. Ancora.

Solo che allora non c'era internet, già, allora Jack Frusciante era uscito da gruppo

(ma è successo ancora), gli immigrati erano solo albanesi, ora sono solo immigrati.


Sì, perchè Aprile è un film che racconta un'Italia, quella dell'eterno presente che capire non sai.

E' un po' come quando, ma magari capita solo a me, ti capita di vedere immagini del millenium bug, dell'11-9 (del 2001 però) o della guerra nel Kosovo e ti paiono agrodolcemente datate e recenti.

Quel dolce che copre lo stantio; quel dolce che però alla fine è dramma vero, perchè se non è cambiato nulla,

qualche problema c'è.

C'è la gente dell'ex PCI che dovrebbe (o avrebbe dovuto) guidarci e invece fa di tutto per metterci in imbarazzo.

C'è Prodi, che torna a fare capolino, come la cometa di Halley, e quando torna, allora si vince.

C'è Dini, silente. C'è Bossi, chestraparla, e con le cazzate ci va giù duro, come lo fa da sempre, oggi indurito da ictus però.

E poi c'è Berlusconi, con le sue ossessioni.

Nessuno però che parla dei giovani, ieri come oggi.

Solo che la differenza sta nel fatto che sono passati 12 anni e i giovani, restano eternamente giovani,

senza esperienza, nel presente ormai eterno.

Solo che invecchiano, e di giovani ce ne sono altri; giovani nati quando io facevo le medie e si ritrovano magari

a vivere le stesse esperienze che provai io in quel periodo.

Non so voi, però nonostante tutto la fine degli anni '90 aveva qualcosa di fiducioso in sè. Sarà stato Bill Clinton tutto pacioso col suo stile o l'idea che le cose potevano andare bene si era diffusa a livello globale.

Adesso vediamo che la trottola che ha girato per anni su se stessa senza rendersi conto di nulla si è fermata.

Il paese è invecchiato, Berlusconi è invecchiato. tutto è invecchiato ma qualcuno ha fatto finta di niente.

I problemi strutturali sono gli stessi e le soluzioni paiono pure di meno. I giovani ventenni di allora hanno però 35 anni.

Che dire a riguardo? L'importante è essersi accorti che davvero questi anni sono stati un po' repubblica delle bandane e un po' grande fratello; che se tutto è ancora fermo a quell'Aprile che dà il nome anche al film di Moretti,

bhe allora credo sia giusto che arrivi finalmente il nostro maggio.

giovedì 1 settembre 2011

Mai d'in Itali: ovvero marchio italiano, materia prima straniera


Mai d'in Itali. Ovvero le truffe alimentari che non conosciamo. Un esempio lampante sono le fruttifere cassette fuori stagione che anche al mercato coperto spesso hanno trionfanti l'etichetta di provenienza con scritto sopra "Italia". Peccato che fuori ci siano magari 15gradi e non è tanto la stagione delle pesche. Eppure così van le cose. Male, ma molto peggio vanno invece nel mondo della macellazione. Quello che pensate di aver preso ad un buon prezzo, non è prosciutto italiano, anche se tutto all'apparenza ve lo renderebbe tale. Non bastano il nome brianzolo, se vogliamo essere glocal; non basta la grande firma. Perché in Italia tutti questi maiali non ci sono. Sono maiali stranieri, olandesi o tedeschi, congelati, che vengono qua lavorati, ma macellati fuori confine. Come facciamo a riconoscerle? I cotti e i crudi sono solitamente pezzi molto grossi quelli stranieri e hanno sempre un sapore compatto in qualunque punto lo si tagli, sia all'osso che non. Inoltre hanno una sottile striscia di grasso interno, quasi onnipresente nel taglio in qualunque strato. Di solito invece più ci si avvicina all'osso più troviamo il grasso solo ai bordi. Inoltre spesso si sente un odore azotato il giorno dopo che si conservano le fette in frigor, con una sottilissima patina, una sorta di "invisibile peluria". Le cosce di provenienza italiana sono più piccole, magre verso l'osso, senza formazioni di grasso a "X" al centro. Il contrario invece dimostra la provenienza del pezzo da animali di dimensioni enormi, che per quantità in Italia non ci potrebbero stare fisicamente, così come accade per gli zebù della bresaola valtellinese. Anche se lì è il contrario. La vera bresaola ha un sapore più intenso e possiede una striscia venosa che divide il pezzo, e questo ci dimostra che è carne italiana vaccina e non sudamericana. Il pezzo straniero è del tutto compatto e con venuzze microscopiche, con una colorazione violacea più che rossa. Il made in Italy quindi è sotto scacco, e a volte la stessa tipicità, per esempio di oli lacustri lombardi è assai sospetta, in quanto la provenienza della quasi totalità del prodotto è di origine pugliese, col quale poi si taglia il poco olio locale. Quindi attenzione alle meraviglie della tavola: ci sono, ma bisogna saperle conoscere.

Nota positiva, i formaggi lombardi, dai più famosi ai più sconosciuti latteria, su quelli non si può mai barare. Latte crudo for ever insomma.

mercoledì 31 agosto 2011

Damnatio memoriae del divieto di svolta


Domanda rivolta a tutti: quanti di voi sanno che il divieto di svolta e il divieto di inversione non sono più previsti dal codice della strada dal 1992? Penso pochi, anche perché alcuni non sanno nemmeno della loro esistenza. Eppure nella vicina Svizzera questi segnali esistono.

http://it.wikipedia.org/wiki/Segnaletica_verticale_italiana:_segnali_di_prescrizione#Segnali_di_divieto

Basta fare un giro sopra Chiasso per rendersi conto della loro presenza in ogni dove nella salita in Val di Muggio. Mi è capitato di recente di vedere più volte macchine ticinesi, anche italiane purtroppo, ignorare il segnale del senso unico, facendo pericolose svolte vietate, ma non facilmente intuibili, specie da chi magari non è del posto e non conosce le vie (esempio classico, almeno per me che abito vicino, "svolta a sinistra vietata in via Tommaso Grossi, angolo via Dante"). E' dunque possibile che una città di confine come la nostra veda passare numerose auto straniere che infrangono le regole non per loro colpa ma per un codice della strada diverso che rende poco chiara la segnaletica? Il dubbio è legittimo, tanto che perfino gli italiani se ne scordano. Mi chiedo dunque perché noi italiani tanto famosi per essere indisciplinati al volante possiamo fare a meno da 19 anni di un segnale che invece nel vicino Cantone Ticino non è mai stato rimosso? Siamo noi così superiori e talmente acuti da evitare questi particolari divieti sapendo percorrere la retta via col solo senso unico, o forse, dopo quasi due lustri c'è qualcosa che non va? Le strade italiane sembrano spesso il ritorno di Attila dopo aver visto troppe volte Fast&Forious!

Semplificare a volte va bene, generalizzare va meno bene, mettere la gente in condizione di pericolo non è bello, nemmeno dove non c'è nessuno, figuriamoci sotto casa mia o sotto a casa vostra! Si parla tanto di federalismo, di autonomia, ma qua sulle strade più che i cartelli in dialetto servirebbero segnali che garantiscano la sicurezza dei cittadini, pedoni e automobilisti, segnali che a pochi chilometri da qua ci sono e qua invece mancano. Personalmente non mi dispiacerebbe se quei segnali tornassero in vigore nel codice della strada o se il codice potesse permettere magari delle deleghe o clausole che rendano possibili questi segnali nelle province di confine, dato che all'estero tale segnaletica non ha subito alcuna damnatio memoriae. E poi lo sappiamo bene che un segnale di divieto è ben più chiaro e vincolante di uno di obbligo, perchè se ti avvisano che di là non puoi andare, probabilmente ci sarà qualche cosa che danneggia te o il tuo amato mezzo. Invece chi mi può obbligare ad andare diritto? Un segnale blu e bianco? Italiano o padano che sia faccio quel che voglio! La sicurezza sulle strade e lo sviluppo di una euro-regione come quella insubrica parte a mio avviso anche da queste piccole cose. Semplificare non è sempre sinonimo di migliorare. Quei bei dischi rossi e bianchi, io spero sempre e penso tra e me e me " a volte ritornano".

giovedì 25 agosto 2011

Che fine farà la massa critica?

Da un po' di mesi, quasi un anno direi, ho lasciato inattivo questo spazio perché forse non ero più ispirato e pensavo fosse opportuno fare anche altro.
Prendo a riscrivere partendo proprio da un tema molto di moda negli ultimi tempi, ovvero la massa critica che si genera attraverso gli organi di informazione.
Abbiamo visto che dopo i referendum sono sorte alcune idee stravaganti in una zona, sempre la solita, diciamo, della sinistra alternativa, ma non solo, riguardo a quanto accaduto.
Si è pensato che i semi di Genova fiorissero dieci anni dopo con un voto certo simbolico e significativo, ma che difficilmente può legarsi con un nesso a quei fatti.
Ovviamente chi era in piazza manifestando nel 2001 ha anche votato 4 sì lo scorso giugno.
Purtroppo la pochezza delle ideologie d'oggigiorno, come quelle di ieri però, si vede anche nel fronte avverso, dove si attacca la "casta sprecona", propensa a farsi i fatti propri, quando il cittadino sa benissimo che punta il dito contro il degrado e lo sperpero è il primo a doversi cospargere il capo. Idee che presto o tardi si diffondono, nel web, ma anche nelle radio o sui giornali e che non lasciano spazio ad una terza via. Tremonti è un mostro? possibile? Ma se dicesse una cosa giusta allora lo sarebbe ancora? E proprio in questo sta il fascismo moderno, quello che fa di tutta un'erba un fascio, che nell'arroganza e nella presunzione, travolge spesso le frange popolari sommergendole in un becero qualunquismo che fa perdere di vista in cosa consista la destra e la sinistra, ovvero due modi per risolvere i problemi. Certo, sono due strade diverse, non condivisibili sempre, a volte però necessarie.
Eppure c'è chi si crogiola in un pressapochismo tale dietro sterili bandiere etiche e morali gridando all'eccellenza del territorio, che si chiama "modello Lombardia", Vedelago, Capannori e che però nei fatti rimane un'esperienza non scalabile, non replicabile e confinata al contesto in cui è nata. Quindi dietro il peso delle community di lettori, spesso è l'editore che comunque ci guadagna, illudendo tutti noi con sogni effimeri non tanto diversi da quelli delle tv private dei primi anni ottanta del secolo scorso. E che fine fanno il peso, la massa critica? Fanno solo rating ahimè. Il nostro assecondare un'idea o meno che si muove su un blog o sulla carta stampata non fa altro che far crescere la reputazione di chi quel mezzo di comunicazione lo controlla. Perchè se ci pensiamo bene, il Movimento di Grillo ora che sono bloccate le centrali nucleari e la privatizzazione dell'acqua, ora che ha esaurito il suo compito rimuovendo le minacce, pensate che avrà qualcosa da dire se non sparare a zero contro tutti? Gli resta solo il tema dei rifiuti e per questo, lui, ma non solo lui, non potrà che paragonare gli epigoni di questa seconda repubblica alla vicende napoletane. E allora i milioni di contatti che seguono il comico genovese al momento delle elezioni vere si tufferanno come lemming nella scelta qualunquista (che ha tanto colori attenzione!) o si renderanno conto dell'ennesima manipolazione che hanno subito? Io non lo so, ma non mi fido molto del senso comune, perché spesso non è buon senso, ma cattivo sentire.