giovedì 15 settembre 2011

iIGiovani e il Welfare italiano

Siamo ormai sul bordo della terra piatta che e scivoliamo nel vuoto mentre ogni giorno che passa con questo governo sgocciolano le opportunità di cambiamento. Il mondo del lavoro negli ultimi dieci anni ha subito la dura falciatura della riforma che ha fatto del precariato la naturale forma di sopravvivenza per chi cercava un’occupazione. Il profumo del peggioramento non si era capito molto bene, dato che i sindacati per primi non si erano accorti della gravità del problema. Minando alle basi la certezza del futuro, non si può che avvilire ogni speranza e quindi impantanarsi nella stagnazione non è che una naturale conseguenza. Senza prospettive, non vi è crescita.

Quando un paese non ha prospettive di espansione verso l’esterno, l’opportunità migliore che le si pone davanti per crescere, è investire su se stessa, al suo interno. Ovviamente questo è un discorso molto complesso, poiché ricordiamo che nel nostro vocabolario è stato introdotta da tempo la parola flessibilità, ma se uno è flessibile, deve sapere perché, a cosa gli giova. Se questo ha senso solo per il datore di lavoro, allora il lavoratore non solo non avrà vantaggi, ma svolgerà il suo compito in malo modo, o di certo in modo meno motivato di quanto non avrebbe fatto invece in una situazione più sicura. Infatti prima di parlare di flexsecurity, forse sarebbe necessario capir il significato delle parole e anteporre ciò che ora serve, ovvero la sicurezza, parlando così di secure –flexity, come sentì dire un anno e mezzo fa su radio popolare il prof. Fumagalli. L’esigenza di una prospettiva scandinava, di un orizzonte meno labile su cui appoggiare le fondamenta della nuova crescita non può che partire da una presa di posizione nei confronti dei giovani. Per vincere la battaglia dei diritti, bisogna di sicuro avere delle armi da usare per difendersi, una su tutte il contratto unico, che sempre più spesso non solo Tito Boeri annuncia, ma anche personalità del centrodestra militanti nel terzo polo.

Ma oltre alle armi è anche utile avere un castello, una fortezza in cui rifugiarsi e forgiare l’io collettivo che anni di mancata educazione civica nelle scuole medie e superiori hanno affievolito; questa fortezza è la cultura che nasce non dallo scontro, ma dalla costruzione. Quando si parla di alchimie politiche si dimentica che l’alchimia è scomposizione e ricomposizione, ma con una finalità positiva e creatrice. La politica dello scontro, anche e soprattutto nel centrosinistra e nel PD, è spesso agli onori della cronaca: lo scontro di posizioni tra Ichino e Fassina non serve a nulla se non si pensa in termini di opportunità cosa è meglio per chi sarà al nostro posto fra venti anni. E’ utile dunque capire le nostre radici, da dove viene la democrazia, ma porre lo sguardo al di là del ponte, dove finisce l’arcobaleno delle teorie e inizia la drammaticità del presente. Perché come Giovani Democratici fare un incontro proprio sul tema del futuro del welfare a Como? Pur essendo geograficamente di confine, fatti fondamentali della storia italiana, risorgimentale e partigiana, si svolgono nel territorio lariano. Il lago di Como è come un fiordo scandinavo che si immerge in un’atmosfera mediterranea, uno scenario unico, che vede sulle sue sponde il finire della stagione del fascismo.

Proporre qua, nel “Mugello del centrodestra” una proposta alternativa sul tema che tocca maggiormente i giovani, non solo è una provocazione all’insegna del vento del cambiamento, ma è soprattutto un chiaro segnale che l’alternativa culturale è possibile. Sarà forse giunto il momento dell’autunno dell’occidente, quello cresciuto nelle contraddizioni, tra carbone e petrolio, ma non possiamo farci trovare impreparati quando arriverà la prossima primavera.

La crescita è nella sicurezza, il futuro è nel rinnovamento dello stato sociale.



l capitale

Il migliore e più semplice simbolo del capitale è un vomere ben fatto.

Ora, se tale vomere non facesse altro che generare altri vomeri, come una proliferazione di polipi, per quanto il grande grappolo di vomeri-polipi scintilli al sole, avrebbe perso la propria funzione di capitale.

Esso infatti diviene vero capitale solo attraverso un altro genere di splendore, quando è visto 'splendescere sulco', divenire splendente nel solco; piuttosto che con l'accrescimento della sua sostanza con la sua diminuzione, per il nobile sforzo dell'attrito. Perciò la vera domanda che dovrebbe essere familiare ad ogni capitalista, come ad ogni nazione, non è "quanti aratri hai?", ma "dove sono i tuoi solchi?", non "quanto rapidamente quel capitale si riproduce?", ma "cosa fa durante la sua riproduzione?" Che sostanza fornisce, che sia buona per la vita? Che opera costruisce, per proteggere la vita? Se non fa nulla di ciò il suo riprodursi è inutile – e se fa peggio che nulla (perché il capitale, così come può sostenerla, può anche distruggere la vita), la sua riproduzione è peggio che inutile; è un prestito con ipoteca di Tisifone, e non è in alcun modo un vantaggio.


A quest'ultimo, quattro saggi sul socialismo cristiano, John Ruskin,


Credo che in questo scritto, uno dei miei preferiti, ma ampiamente sottovalutato, ci sia la chiave della crisi della nostra contemporaneità. Occorre dunque un vomere per tracciare un solco che ci indichi una nuova via che dovremo seguire.

domenica 11 settembre 2011

Il presente che fagocitò se stesso in quell'Aprile

Avevo un dubbio, un dubbio che era una sensazione.

Poi all'improvviso un'idea seguita al fatto di aver pensato

ad una canzone di Jovanotti, quello più disimpegnato.

E allora finisce che mi guardo Aprile di Nanni Moretti.

Finisce il film e la sensazione diventa una certezza.

Gli anni passati dal '99 in poi per questa povera Italia sono

anni passati in vano. Tutto è fermo ad allora.

Ancora le stesse facce, gli stessi problemi. Ancora.

Solo che allora non c'era internet, già, allora Jack Frusciante era uscito da gruppo

(ma è successo ancora), gli immigrati erano solo albanesi, ora sono solo immigrati.


Sì, perchè Aprile è un film che racconta un'Italia, quella dell'eterno presente che capire non sai.

E' un po' come quando, ma magari capita solo a me, ti capita di vedere immagini del millenium bug, dell'11-9 (del 2001 però) o della guerra nel Kosovo e ti paiono agrodolcemente datate e recenti.

Quel dolce che copre lo stantio; quel dolce che però alla fine è dramma vero, perchè se non è cambiato nulla,

qualche problema c'è.

C'è la gente dell'ex PCI che dovrebbe (o avrebbe dovuto) guidarci e invece fa di tutto per metterci in imbarazzo.

C'è Prodi, che torna a fare capolino, come la cometa di Halley, e quando torna, allora si vince.

C'è Dini, silente. C'è Bossi, chestraparla, e con le cazzate ci va giù duro, come lo fa da sempre, oggi indurito da ictus però.

E poi c'è Berlusconi, con le sue ossessioni.

Nessuno però che parla dei giovani, ieri come oggi.

Solo che la differenza sta nel fatto che sono passati 12 anni e i giovani, restano eternamente giovani,

senza esperienza, nel presente ormai eterno.

Solo che invecchiano, e di giovani ce ne sono altri; giovani nati quando io facevo le medie e si ritrovano magari

a vivere le stesse esperienze che provai io in quel periodo.

Non so voi, però nonostante tutto la fine degli anni '90 aveva qualcosa di fiducioso in sè. Sarà stato Bill Clinton tutto pacioso col suo stile o l'idea che le cose potevano andare bene si era diffusa a livello globale.

Adesso vediamo che la trottola che ha girato per anni su se stessa senza rendersi conto di nulla si è fermata.

Il paese è invecchiato, Berlusconi è invecchiato. tutto è invecchiato ma qualcuno ha fatto finta di niente.

I problemi strutturali sono gli stessi e le soluzioni paiono pure di meno. I giovani ventenni di allora hanno però 35 anni.

Che dire a riguardo? L'importante è essersi accorti che davvero questi anni sono stati un po' repubblica delle bandane e un po' grande fratello; che se tutto è ancora fermo a quell'Aprile che dà il nome anche al film di Moretti,

bhe allora credo sia giusto che arrivi finalmente il nostro maggio.

giovedì 1 settembre 2011

Mai d'in Itali: ovvero marchio italiano, materia prima straniera


Mai d'in Itali. Ovvero le truffe alimentari che non conosciamo. Un esempio lampante sono le fruttifere cassette fuori stagione che anche al mercato coperto spesso hanno trionfanti l'etichetta di provenienza con scritto sopra "Italia". Peccato che fuori ci siano magari 15gradi e non è tanto la stagione delle pesche. Eppure così van le cose. Male, ma molto peggio vanno invece nel mondo della macellazione. Quello che pensate di aver preso ad un buon prezzo, non è prosciutto italiano, anche se tutto all'apparenza ve lo renderebbe tale. Non bastano il nome brianzolo, se vogliamo essere glocal; non basta la grande firma. Perché in Italia tutti questi maiali non ci sono. Sono maiali stranieri, olandesi o tedeschi, congelati, che vengono qua lavorati, ma macellati fuori confine. Come facciamo a riconoscerle? I cotti e i crudi sono solitamente pezzi molto grossi quelli stranieri e hanno sempre un sapore compatto in qualunque punto lo si tagli, sia all'osso che non. Inoltre hanno una sottile striscia di grasso interno, quasi onnipresente nel taglio in qualunque strato. Di solito invece più ci si avvicina all'osso più troviamo il grasso solo ai bordi. Inoltre spesso si sente un odore azotato il giorno dopo che si conservano le fette in frigor, con una sottilissima patina, una sorta di "invisibile peluria". Le cosce di provenienza italiana sono più piccole, magre verso l'osso, senza formazioni di grasso a "X" al centro. Il contrario invece dimostra la provenienza del pezzo da animali di dimensioni enormi, che per quantità in Italia non ci potrebbero stare fisicamente, così come accade per gli zebù della bresaola valtellinese. Anche se lì è il contrario. La vera bresaola ha un sapore più intenso e possiede una striscia venosa che divide il pezzo, e questo ci dimostra che è carne italiana vaccina e non sudamericana. Il pezzo straniero è del tutto compatto e con venuzze microscopiche, con una colorazione violacea più che rossa. Il made in Italy quindi è sotto scacco, e a volte la stessa tipicità, per esempio di oli lacustri lombardi è assai sospetta, in quanto la provenienza della quasi totalità del prodotto è di origine pugliese, col quale poi si taglia il poco olio locale. Quindi attenzione alle meraviglie della tavola: ci sono, ma bisogna saperle conoscere.

Nota positiva, i formaggi lombardi, dai più famosi ai più sconosciuti latteria, su quelli non si può mai barare. Latte crudo for ever insomma.